Sebbene la scienza, come ricerca intellettuale, nasca solo col pensiero greco, gli egiziani s’impadronirono di molte conoscenze che la necessità e la pratica religiosa posero alla loro attenzione. È evidente che l'esaltazione religiosa, che li spinse a costruire le piramidi, e il bisogno pratico di calcolare l’estensione dei terreni incentivarono lo studio della matematica, così come la consuetudine della mummificazione dei cadaveri favorì forse lo studio dell’anatomia.
Ci sono giunte copie d’esercizi di aritmetica e persino manuali con problemi già svolti di geometria che dimostrano come gli egizi, pur non conoscendo il concetto dello zero, siano stati capaci, servendosi della numerazione decimale, di calcolare i volumi (anche della piramide tronca), le aree (persino quella del cerchio) e le percentuali delle derrate da distribuire al tempio o alla corte, calcolate con valori frazionari.
Il grado raggiunto dalla medicina è testimoniato dal famoso Papiro Ebers, una raccolta di casi clinici, lungo 20 metri, che mostra come i medici egiziani fossero soliti identificare le malattie in base ai sintomi (diagnosi) e come ne prevedessero il decorso e l’esito (prognosi). Cauterizzavano e cucivano le ferite, praticavano incisioni chirurgiche e si arrischiarono, forse, anche a trapanare il cranio; l'anestesia era ottenuta con il papavero somniferum, ossia, in pratica, con l’oppio. Per quanto riguarda le nozioni di anatomia i medici conoscevano, almeno in parte, il meccanismo della circolazione del sangue ed il cuore, considerato il centro vitale dell’organismo, venne descritto nella sua posizione e nei suoi disturbi funzionali. Il sistema dei vasi era visto come una rete che regolava il funzionamento dell’intero organismo ed intuirono che era grazie ai vasi se il farmaco, indipendentemente dalla via di somministrazione, raggiungeva la parete malata.
Erano anche esperti nella misurazione del tempo per mezzo di gnomoni e di orologi ad acqua e misero a punto un calendario piuttosto perfezionato che divideva l'anno in 365 giorni.
In astronomia, anche se non eguagliarono i babilonesi, seppero identificare le stelle apparentemente mobili della fascia equatoriale, che chiamarono "instancabili", e quelle fisse (Stella polare) che definirono "imperiture". La circonferenza dell'equatore fu calcolata con un’approssimazione assai vicina alla realtà.
Fin dalle origini i contadini misero in atto tecniche di irrigazione e di canalizzazione per sfruttare le piene del Nilo e gli artigiani impararono presto a estrarre grandi blocchi di pietra e a lavorarli con utensili di metallo, introdotti dall’inizio dell’epoca dinastica. A metà del II millennio, impararono a produrre anche pasta di vetro e con la tecnica della cera persa produssero piccoli oggetti di grande bellezza; in Epoca Tarda apparvero anche i "vetri millefiori".
Ma quello che stupisce di più e che ancora non siamo riusciti a capire bene sono le tecniche di innalzamento delle piramidi e la tecnica di sollevamento dei blocchi, in un’epoca in cui ancora non si conosceva il ferro, né la ruota e tantomeno la puleggia e il verricello. Si sono ipotizzati vari tipi di rampe provvisorie in mattoni crudi (rampa perpendicolare, elicoidale o a spirale, ad andamento alterno su ogni faccia), lungo le quali gli enormi blocchi venivano trascinati con slitte e poi messi in opera grazie a macchine-bilance costruite con piccole travi. Le piramidi sono l’opera straordinaria di uomini, dall’ultimo operaio al sommo sacerdote architetto e direttore dei lavori, dotati di qualità e esperienza eccezionali. Tanto eccezionali che, passate le generazioni che vanno dal 2700 al 1500 ca., il prodigio non si riprodusse più, quasi che la magica spinta si fosse esaurita in questa ultima formidabile testimonianza.
